Perché rileggere Tozzi oggi?

Federigo Tozzi è un classico del Novecento, e come tutti i classici è inutile chiedersi perché dovremmo rileggerlo proprio oggi, a cento anni dalla morte, avvenuta a Roma il 21 marzo 1920. Un classico è sempre attuale e non lo è mai. Né deve necessariamente sorprenderci dicendoci qualcosa che non sapevamo già: alle volte, scriveva Italo Calvino, «vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che l’aveva detto lui per primo».

E cosa ha detto, per primo, Tozzi, nei suoi romanzi e nei suoi racconti? Innanzi tutto è lui ad aver creato il personaggio dell’inetto, almeno da noi. Anzi, i veri inetti della letteratura italiana del Novecento si chiamano Pietro Rosi e Remigio Selmi, i protagonisti, rispettivamente, di Con gli occhi chiusi e del Podere. Inetti veri, incapaci di guardare obiettivamente alla realtà, di modificarla, o anche solo di trarre egoistico vantaggio dalle miserie altrui grazie a un colpo di fortuna (come quello che assiste Zeno nell’ultimo capitolo del romanzo sveviano, quando il successo negli affari e la congiuntura bellica lo trasformano in quel borghese “sano” e senza complessi che aveva sempre sognato di essere). No, gli eroi di Tozzi sono letteralmente inadatti a stare al mondo. Non li riscattano dalla pesantezza del vivere l’ironia, l’umorismo o la capacità di ridere delle proprie miserie di un Mattia Pascal. Non si fanno sconti, nella narrativa dello scrittore senese; e questo è un tratto che accomuna la sua negatività alla negatività di Kafka, come aveva capito Giacomo Debenedetti, forse il suo più grande interprete del secolo scorso. Tra Il processo e Il podere c’è un’affinità profonda, che fa di questi romanzi due riletture, stranianti e blasfeme, del libro biblico di Giobbe; due risposte modernamente tragiche al problema, antichissimo, della sofferenza del giusto e del lamento dell’innocente.

È un classico, Tozzi, anche perché come tutti i veri classici ha uno stile inimitabile. Vocabolario e sintassi rispondono a una grammatica privata. Nel suo impasto linguistico confluiscono espressionisticamente tanto la parola scritta di Santa Caterina e di San Bernardino quanto le voci di strada della Siena di primo Novecento. Congiunzioni e segni interpuntivi hanno una funzione ritmica, musicale: un “ma” perde il suo valore avversativo per interrompere bruscamente il flusso narrativo e indirizzarlo altrove; virgole e punti e virgola proliferano in modo abnorme, contro le regole della grammatica e dell’economia, ma a guardar bene servono per inquadrare ogni singolo particolare, per isolarlo dal tutto e renderlo inquietante, come una zoomata in un film espressionista degli anni Dieci. Perché leggere Tozzi? Perché, lo vogliamo o no, Tozzi è un classico. E la forza di un classico si impone sempre oltre le mode passeggere e la stanca ritualità degli anniversari, rendendo inutili e carenti, diceva sempre Calvino, i discorsi critici. Un classico, forse, è semplicemente qualcuno che ha diritto a un posto riservato nella nostra biblioteca, nella nostra memoria di lettori.